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Anche per Prarostino, la prima citazione certa risale ad un documento della contessa Adelaide dell' 8 settembre 1064 che prevede un atto di donazione a favore della Abbazia di Santa Maria di Pinerolo. In quell'atto che costituisce l'Abbazia di Santa Maria e praticamente fonda Pinerolo, Adelaide, "ego Adelegida, Christi misericordia comitissa", stabilisce "haeredem quadam ecclesiam constructam in territorio vici Pinarioli, consectram in honorem sanctae Dei Genitricis Virginis Mariae" legandole una lunga serie di proprietà. Molte terre del pinerolese hanno così, in questo elenco, una delle loro prime registrazioni ufficiali: per il nostro Comune, la citazione è nella frase: "....harum autem omnium villarum medietatem, subscriptarum vero integritatem, id sunt valle S. Martini, Petrosae, Poggio Odonis, Prati molli, Villaris Aldini, Padernonum, Famolasca...".
Si veda come profondamente diversa appaia la grafia rispetto all'attuale denominazione. Del resto, le stesse trascrizioni manuali erano ben spesso infedeli: la collazione con altre 15 redazioni note del documento adelaidino ci dà ancora almeno 6 diverse stesure del nome: Vilare Aldini (8 casi), Villari Aldini (1 caso), Villaris Aldini (3 casi, identici dunque al testo quì citato, nella trascrizione di Carlo Cipolla), Villaris Arduini (1 caso), Villare Odini (1 caso).
Quindici anni dopo, il 17 dicembre 1079, un altro documento ci parla di Prarostino, e il nome appare registrato ancora con una diversa grafia. Il testo è quello con cui Littone ed Ottone fratelli, del fu Opizzone, e Berta moglie di Littone promettono e si obbligano formalmente di lasciare in pace e non inquietare il monastero di Santa Maria di Pinerolo nel pacifico possesso del luogo di Miradolo e di Prarostino: "...ullam modestiam facere nominatiue de quandam corte qui miradolum uocatur, atque de uno alio (loco) qui uillare endini nominatur ".
Dobbiamo arrivare al 18 aprile 1122 (o 1123) per ritrovare Prarostino in un nuovo documento. Si tratta questa volta della bolla con cui Bosone, vescovo di Torino dona le chiese di San Donato e San Maurizio in Pinerolo, e ne conferma altre, nell'Abbazia di Pinerolo. Il passo che interessa è il seguente: "... concedo atque dono a presenti die predicto monastero Sancte marie ecclesiam sancti donati atque Sancti mauricii loco pinarioli sitas et ecclesias loco miradoli constructas castro uel uilla atque ecclesiam uillaris aldini tereneque ecclesiam ac ecclesiam prati mollis..."
Il 13 maggio 1139, papa Innocenzo II confema "dilectis filis Dalmatio abbatj Monasterji Sancte Marie pinariolensis eiusque fratribus tam presentibus quam futuris regulariter substituendis in perpetuum" i privilegi dell'Abbazia: "...presenti enim decreto statuimus. ut quecumque possessiones. quecumque predia. et quecumque bona eidem pinariolensi [monasterio ab adeleida comitissa uel ab] alijs quibuslibet fidelibus de suo iure collata sunt uel concessa... videlicet totum castrum pinarioli et uillam cum ecclesijs sancti donati et sancti Maurici. medietatem de ferruciasco. mansum de [ro]uore,[to. Valle del Iemina. Miradolium cum ecclisijs] et alijs pertinentijs suis. Villare eudinum cum ecclesia. Uillam cum dicitur portas Turinam. Malam mortem. pratum molle. Uillaretum pinoascam.... confirmamus ut nullus taurinensis episcopus, uel mediolanensis archiepiscopus unquam quolibet ingenio uie qualibet arte eidem monasterio aufferre aut uellere [prefat]as ecclesias, nisi per communem utilitatem totius episcopatus. nullatenus excommunicare presumat".
Ancora tre documenti praticamente coevi al precedente citano Prarostino, e la grafia risulta essere la seguente:
"Villaris Aldini" in una bolla datata 12 maggio 1140, con cui papa Innocenzo II conferma al Monastero di Santa Maria di Pinerolo le chiese del medesimo possedute.
"Villaris Eudini" nella conferma in data 29 novembre 1130 di Arberto vescovo di Torino, circa "le chiese ed i privilegi del Monastero di Santa Maria di Pinerolo, con riserva di alcuni diritti vescovili".
"Uillararis eudini" nella successiva riconferma del 10 aprile 1144 di Oberto, vescovo di Torino, in merito alle chiese ed i privilegi del monastero di Santa Maria di Pinerolo.
Solo il 3 aprile 1513 troviamo una prima grafia ("Podio Rustino") che si avvicina di più all'attuale; ma anche successivamente essa è ancora a lungo incerta: "Prarustin, Pra-rustin, Prérustin, Praustin, Prarusting, Péroustin...".
Le vicende con San Secondo e la formazione del Comune.
"Crescendo" nella castellania di Miradolo (dal 1198 staccato dall'Abbazia di Pinerolo e suddita di Casa Savoia), San Secondo nasce come "ricetto" verso la metà del 1300.
I ricetti erano luoghi recinti di mura e di fossati, con ponte levatoio e saracinesche, formati allo scopo di ricoverarvi i prodotti agricoli difendendoli dalle rapine del nemico; se del caso, servivano anche come riparo per gli abitanti e gli animali. Erano normalmente muniti di alta torre di guardia (quadrata, talvolta cilindrica). Sulla sommità, la sentinella vigilava e segnalava ogni fatto interessante, sventolando bandiere e accendendo fuochi di notte entro cestoni di ferro. Sovente, verso l'abitato la torre era aperta e divisa da più impalcature in legno servite da scale a pioli. Col termine di "ricetto" si designava probabilmente, per San Secondo, il complesso di fortificazioni che sostanzialmente univano il "Castel del lupo" con l'abitato vero e proprio.
Prarostino e Roccapiatta restano col territorio di San Secondo fino alla metà del XVIII secolo. Di quest'ultimo periodo c'é un documento curioso, datato 22 febbraio 1627, che può essere interessante citare. Si tratta delle risposte a stampa del duca Carlo Emanuele ad una "Supplica della povera comunità di San Secondo". Queste le premesse: "La povera comunità di San Secondo è stata sempre pronta in tutte le passate occasioni di guerra ai servizi di V.A. Serenissima, e con tutto suo potere supplito ai suoi comandi, né mai s'é risparmiata in cosa alcuna, senza aver mai fastidito le benigne orecchie di V.A. E' tali e tante sono le spese fatte, e i carichi sostenuti, che ora si rende posta al fondo, e in estrema necessità, soprattutto per aver patito l'anno passato una terribile tempesta, che l'ha resa a sterminio inesplicabile, per non andar totalmente dispersa si mette ai piedi di V.A.S. Umilmente supplicandola che si degni in considerazione dei detti carichi soprapportati, danni patiti e in loro risarcimento concedere ed accordare i Capi seguenti "... Le richieste riguardano determinati gravami tributari di cui la Comunità sollecita di essere sollevata o quanto meno alleggerita. Il "Serenissimo Signore" apparentemente concede, in realtà scantona e per la maggior parte delle richieste lascia sostanzialmente le cose come stanno.
Le "patenti di Pinerolo" del 1655 portano sostanzialmente alla suddivisione in due zone di influenza (San Secondo cattolico, Prarostino valdese con capoluogo San Bartolomeo); esse diventano operanti a partire dal 1658, mentre quelle di costituzione ufficiale dei Comuni di Prarostino e di Roccapiatta sono del 1661 (una discriminazione in tal senso trova tuttavia già riscontro in decisioni ducali del 1596, 1603, 1609, 1628).
Le varie vendite della meta (B) del feudo di San Secondo hanno un ulteriore sviluppo il 23 maggio 1679 con la cessione delle terre al conte Carlo Bianco, barone di Saint Marcel.
1682: con sue patenti, Vittorio Amedeo II riconosce il Comune di San Secondo sui territori non compresi nel nuovo Comune di Prarostino.
Resta il problema dei beni valdesi sul territorio di San Secondo (considerati come appartenenti al comune di Prarostino) e, per converso, quello dei beni cattolici sul territorio di Prarostino (appartenenti a San Secondo). La divisione, densa di inconvenienti, durerà fino al 1907: il nuovo Catasto risolve la situazione ponendo come confine tra i due comuni il torrente Chiamogna.
Posteriormente al 1658, Prarostino viene anche detto "costiera di San Secondo" e appartenente con Roccapiatta alle "terres moyennes", situate cioé tra Pellice e Chisone. Oltre al capoluogo San Bartolomeo, Prarostino conta come località più importanti: la Ruata, il Rocco, i Gay, il Collaretto, i Cardonat.
I suoi abitanti ("... in genere belli ed alti di vita ...", li descrive Amédée Bert) sono nel 1759 a 1636 (di cui 36 cattolici), nel 1790 sono 1050 (di cui 50 cattolici). Nel 1839 essi sono 1675 (di cui 150 cattolici); nel 1844 appaiono 2500 (di cui 63 cattolici). Nel 1847 le statistiche danno 1600 abitanti, nel 1881 sono 1566; nel 1901 sono 1415 (di cui 130 cattolici); nel 1928 i valdesi risulterebbero scesi a meno di 1000.
Roccapiatta (separata da Prarostino dal Turinella) è formata dai Rostagni, dai Cardons e dai Gaudins. Nel 1790 si trovano segnalati 276 valdesi e 24 cattolici; nel 1839 sono registrati 267 valdesi e 17 cattolici; nel 1847, la popolazione è detta di 300 abitanti; nel 1881 di 263 abitanti; nel 1901 di 247 abitanti; nel 1928 sono 144 abitanti di cui 1 cattolico.
Dal 1 gennaio 1866 i pastori valdesi hanno cessato di essere ufficiali di Stato Civile. I registri relativi, che la chiesa aveva fino allora tenuto, sono passati al Municipio. Per trovare innovazioni alle delimitazioni territoriali bisogna ricorrere al Regio Decreto del 15 aprile 1928 che aggrega i comuni di Prarostino e Roccapiatta al comune di San Secondo di Pinerolo. (Vittorio Emanuele III). La suddivisione attuale (comuni di San Secondo e Prarostino [con Roccapiatta]) avviene con decreto del Presidente della Repubblica del 16 aprile 1959 Nella guerra 1915 - 1918 36 figli di Prarostino e 10 di Roccapiatta non tornano dai campi di battaglia. 13 sono i caduti militari e civili del conflitto 1940 - 1945.
Eccidio del Bric
Il 17 novembre 1944 un episodio tragico avvenne sul territorio di Prarostino, l'eccidio del Bric dove nove civili morirono per mano dei nazisti.
Eravamo in piena seconda Guerra Mondiale e nelle nostre valli si erano formate le bande della Resistenza. Non erano quindi infrequenti i rastrellamenti, le rappresaglie sulla popolazione da parte dell'esercito, le fucilazioni e le impiccagioni di partigiani e di persone accusate di appoggiare la resistenza, o di semplici civili inermi come atto di ritorsione.
Il 16 novembre una squadra nazista, senza che nessuno la notasse, arrivò prestissimo a Prarostino e si insediò alla casa del Bric, una casa isolata ma non disabitata. Svegliò i sui occupanti Olivia ed Alessio Porcero a cui intimò di fare la loro vita di tutti i giorni. In mattinata arrivò alla casa del Bric Ernesto Paschetto, per aiutare la famiglia Porcero con la raccolta delle mele. Sempre in mattinata arrivarono Giuseppe Barotto e Cesare Simondetto, amici di Ernesto, insieme a Michele Magnano che proveniva da Cavour probabilmente per acquistare delle mele. Da quella casa però non ne uscirono più.
Ostaggi e nazisti trascorsero tutta la giornata e la notte insieme chiusi in casa. I nazisti probabilmente si aspettavano l'arrivo di qualche partigiano. Il mattino successivo, dalla borgata Badoni partirono Remo Paschetto, figlio di Ernesto, ed un suo amico, Arnaud Costantino, volevano capire il motivo per cui Ernesto non era rientrato a casa la sera prima. Durante la mattinata arrivò alla casa del Bric Margherita di Fournla e più tardi Dina Paschetto sorella di Remo.
A metà pomeriggio i tedeschi, forse stanchi di aspettare, fecero uscire in modo non troppo garbato Alessio Porcero e le tre donne, Olivia, Margherita e Dina, che poterono così raccontare cosa fosse successo. Subito dopo i nazisti spararono un colpo in testa a tutti gli ostaggi rimasti. La fame di sangue però non si era ancora placata.
Usciti da casa del Bric ed incamminatisi verso valle, i nazisti incrociarono in borgata Ramate tre uomini che si stavano occupando della raccolta delle mele e li uccisero tutti. Sono Aldo Nadasio, Cesare Paget che cadde morto con ancora una mela in mano e Alberto Coisson.
Ultimo vile atto dei nazisti fu quello di dare fuoco al fienile della famiglia Paschetto.
Ci fu una decima vittima del Bric, Stefano Peraldo un contadino che il 12 dicembre del 1944 fu ucciso dai partigiani in quanto commise l'errore quel giorno di indossare una giacca militare, probabilmente perché calda.
In prossimità della casa del Bric è posta una lapide a ricordo di quei dieci sventurati che morirono per mano della follia umana che la guerra inevitabilmente scatena.
Per raggiungere la lapide si parte a piedi dal cimitero di San Bartolomeo dove si può lasciare la macchina. Si prende la strada in salita in direzione Piani ma deviando subito alla prima rotonda sulla strada che scende verso la Massera. Si prosegue e al primo bivio si gira a destra verso Borgata Molere. Giunti alla borgata ed ad un bivio si prende la destra per la strada in salita che si inoltra nel bosco e che diventa sterrata. All'altezza di una casa diroccata sulla sinistra si trova la stele a ricordo dell'eccidio. Tempo di percorrenza: circa 15 minuti.
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